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Come calcolare la superficie commerciale

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Per Superficie Commerciale Vendibile (SCV) deve intendersi una superficie basata sulla somma delle “superfici ponderate” che compongono l’immobile. Rappresenta un parametro di mercato oggettivo al quale attenersi per le valutazioni patrimoniali.

Criteri per il calcolo della Superficie Commerciale

Documento riepilogativo del sistema di calcolo della “superficie commerciale”, redatto secondo il Codice delle Valutazioni Immobiliari (edito da Tecnoborsa ed Agenzia delle entrate)

Superfici principali
Descrizione Incidenza Annotazioni
Superficie utile netta calpestabile 100%
Muri perimetrali 100% calcolare fino allo spessore max di 50 cm
Muri perimetrali in comunione 50% calcolare fino allo spessore max di 25 cm
Mansarde 75% altezza media minima mt 2,40
Sottotetti non abitabili (mansarda) 35% altezza media minima inferiore a mt 2,40 ed altezza minima di mt 1,50
Soppalchi abitabili (con finiture analoghe ai vani principali) 80% altezza media minima mt 2,40
Soppalchi non abitabili 15%
Verande (con finiture analoghe ai vani principali) 80%
Verande (senza finiture analoghe ai vani principali) 60%
Taverne e Locali seminterrati abitabili (collegati ai vani principali) 60% altezza media minima mt 2,40
Precisazioni

Per il calcolo della superficie commerciale non potendo provvedere ad uno specifico rilievo, con molta approssimazione e limitatamente alle abitazioni, si potranno quindi considerare le murature (interne/esterne/comuni) uguali ad una maggiorazione della superficie utile netta pari al 10%.

Superfici di ornamento

Superfici di ornamento
Descrizione Incidenza Annotazioni
Balconi e Lastrici solari 25% Applicabile fino a 25mq, l’eccedenza va calcolata al 10%
Terrazzi e Logge 35% Applicabile fino a 25mq, l’eccedenza va calcolata al 10%
Terrazzi di attici (a tasca) 40% Applicabile fino a 25mq, l’eccedenza va calcolata al 10%
Portici e Patii 35% Applicabile fino a 25mq, l’eccedenza va calcolata al 10%
Corti e Cortili 10% Applicabile fino a 25mq, l’eccedenza va calcolata al 2%
Giardini e aree di pertinenza di “appartamento” 15% Applicabile fino a 25mq, l’eccedenza va calcolata al 5%
Giardini e aree di pertinenza di “ville e villini” 10% Applicabile fino a 25mq, l’eccedenza va calcolata al 2%
Precisazioni 

per le superfici non comunicanti con i vani principali considerare il 50% dell’incidenza

Superfici accessori

Superfici vani accessori e parcheggi
Descrizione Incidenza Annotazioni
Cantine, Soffitte e Locali accessori (non collegati ai dei vani principali) 20% altezza minima di mt 1,50
Locali accessori (collegati ai dei vani principali) 35% altezza minima 2,40
Locali tecnici 15% altezza minima di mt 1,50
Box (in autorimessa collettiva) 45% dimensioni tipo di posto auto mt 2,50 x 5,00 = 12,50 mq
Box (non collegato ai vani principali) 50%
Box (collegato ai vani principali) 60%
Posti auto coperti (in autorimessa collettiva) 35%
Posti auto scoperti 20%

progetto ville a schiera in legno x-lam ONDATEK cod. 008

Progetto per la realizzazione di abitazione in legno con tecnologia x-lam, classe energetica A

L’ampliamento ai sensi del Piano Casa va in deroga alle norme locali, su distanze e confini di proprietà?

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scarica la legge su PIANO CASA VENETO

Il “Piano Casa” è una Legge Regionale di carattere straordinario e prevale sulle previsioni dei regolamenti comunali e degli strumenti urbanistici e territoriali comunali, provinciali e regionali, ivi compresi i piani ambientali dei parchi regionali, nonché quelle in contrasto con essa (comma 1 art. 2 e comma 1 art. 6 della L.R. 32/013). Pertanto le distanze previste dai Regolamenti Edilizi sono tutte derogabili; si devono rispettare solamente le disposizioni in materia di distanze previste dalla normativa vigente di fonte statale (comma 8 art. 9 della L.R. 32/013). In questo caso la disciplina statale è contenuta nell’articolo 873 del Codice Civile che prevede esclusivamente la distanza tra costruzioni (e non da confini) di metri 3, per cui gli ampliamenti del Piano Casa possono arrivare fino alla distanza di 3 metri dalla costruzione posta su fondo finitimo (sia esso privato che pubblico), con la possibilità di arrivare anche a confine se oltre il confine a distanza inferiore a 3 metri non è presente nessun edificio. Un altro rispetto della distanza è rappresentato dalla contestuale applicazione dell’art. 9 del noto D.M. 1444 del 1968, che impone la distanza minima inderogabile di 10 metri tra pareti finestrate in zone B e C. Quindi se c’è una costruzione con parete finestrata anche la costruzione di ampliamento in Piano Casa deve rispettare la distanza di 10 metri. Al riguardo è bene però tener presente che: – la distanza di rispetto tra edifici è una norma inderogabile a tutela della salute e della salubrità delle costruzioni; – è la costruzione che determina la misura dell’applicabilità della norma: qualsiasi tipo di costruzione, abbandonata o non abbandonata, abusiva o legittima determina distanza;

– la distanza di rispetto di 10 metri tra pareti finestrate deve essere rispettata anche se una sola delle due pareti frontiste presenta finestre (anche singola); – la suddetta distanza di 10 metri va misurata ortogonalmente, linearmente e non radialmente.

DA TENERE PRESENTE Per pareti finestrate devono intendersi le pareti munite di finestre. Non sono considerate pareti finestrate, benché ci sia qualche sentenza contraria, ma la stragrande maggioranza della giurisprudenza va in questo senso, cioè che la parete finestrata non è quella che ha la sola porta, o non è quella che presenta luci. Parete finestrata è soltanto quella che presenta vedute, per vedute si intende l’apertura nella muratura che consente di guardare e sporgersi: se non ci si sporge quella non è veduta, quella rimane una luce (magari irregolare). Ad esempio, le vetrate fisse a delimitazione di uno spazio o manufatto aperto senza la presenza di finestre con la possibilità di sporgersi e le aperture nella muratura di facciata chiuse con elementi di vetro-cemento, non determinano pareti finestrate. Si evidenzia che nel merito del quesito, ci sono più sentenze, una recente, del TAR Veneto che dicono: “ i comuni non possono imporre alcuna distanza, si applica l’art. 873 del C.C.”. L’art. 873 del C.C. prevede esclusivamente distanze tra costruzioni e non da confini. Quindi, poiché il Piano Casa (come recitano il comma 1 art. 2 e comma 1 art. 6 della L.R. 32/013) consente la deroga dai regolamenti comunali e dagli strumenti urbanistici e territoriali comunali, provinciali e regionali, se frontalmente all’ampliamento da eseguire non è presente nessun edificio, questo si può costruire a confine senza il consenso di nessuno, fermo restando il rispetto delle altre norme del Codice Civile per le costruzioni, come in sintesi di seguito menzionate. Infatti, non è superfluo evidenziare che l’ampliamento deve rispettare le altre norme per la fattispecie previste dallo stesso Codice Civile (quale norma di fonte statale) ed in particolare si rammenta: la SEZIONE VI “Delle distanze nelle costruzioni – piantagioni e scavi – dei muri, fossi e siepi interposti tra i fondi – delle tubazioni – ecc.“ : Artt. da n. 873 a n. 899 la SEZIONE VII “ Delle luci e delle vedute. ”: Artt. da n. 900 a n. 907 ; la SEZIONE VIII “Dello stillicidio“ : Art. n. 908. Inoltre, per la fattispecie, oltre al Codice Civile e il D.M. 1444/1968 sopra citati, non sono derogabili, quali normative di fonte statale, ad esempio : – il Codice della Strada e regolamento d’attuazione – le fasce di rispetto cimiteriale, di elettrodotto, di particolari torrenti tutelati – i parametri igienico-sanitari di legge, qualunque sia la destinazione d’uso. In tal senso vanno rispettate anche le distanze di carattere igienico relative agli allevamenti zootecnici – i contenuti ambientali e paesaggistici degli atti di pianificazione – il rispetto delle NORME TECNICHE per le COSTRUZIONI (D.M. 14.01.2008).

 

Videosorveglianza: cambiano le regole, chi può installare telecamere all’interno del condominio?

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scarica il vademecum per la videosorveglianza

A seguito della recente approvazione delle nuove norme condominiali, sono state apportate significative innovazioni in tema di installazione di sistemi di videosorveglianza, in ambito condominiale.

Per tutelare la sicurezza dei beni e delle persone, sempre di più, vengono installati impianti di videosorveglianza presso le strutture abitative.

Da sempre il problema dell’installazione di impianti di videosorveglianza a copertura di parti comuni di un edificio condominiale è stato visto come una procedura complessa e ha creato non poche perplessità tra gli amministratori e gli impiantisti.

Ecco le domande più frequenti a cui il garante ha posto risposta:

UN CONDOMINO PUÒ INSTALLARE UNA TELECAMERA CHE RIPRENDE L’INGRESSO DEL SUO APPARTAMENTO O DEL SUO POSTO AUTO?

Quando l’installazione di sistemi di videosorveglianza viene effettuata da persone fisiche per fini esclusivamente personali – e le immagini non vengono né comunicate sistematicamente a terzi, né diffuse (ad esempio attraverso apparati tipo web cam) – non si applicano le norme previste dal Codice della privacy.

In questo specifico caso, ad esempio, non è necessario segnalare l’eventuale presenza del sistema di videosorveglianza con un apposito cartello. Rimangono comunque valide le disposizioni in tema di  responsabilità civile e di sicurezza dei dati.

È tra l’altro necessario – anche per non rischiare di incorrere nel reato di interferenze illecite nella vita privata – che il sistema di videosorveglianza sia installato in maniera tale che l’obiettivo della telecamera posta di fronte alla porta di casa riprenda esclusivamente lo spazio privato e non tutto il pianerottolo o la strada, ovvero il proprio posto auto e non tutto il garage.

 QUALI SONO LE REGOLE PER INSTALLARE UN SISTEMA DI VIDEOSORVEGLIANZA CONDOMINIALE?

Nel caso in cui il sistema di videosorveglianza sia installato dal condominio per controllare le aree comuni, devono essere adottate in particolare tutte le misure e le precauzioni previste dal Codice della privacy e dal provvedimento generale del Garante in tema di videosorveglianza .

Tra gli obblighi che valgono anche in ambito condominiale vi è quello di segnalare le telecamere con appositi cartelli, eventualmente avvalendosi del modello predisposto dal Garante. Le registrazioni possono essere conservate per un periodo limitato tendenzialmente non superiore alle 24-48 ore, anche in relazione a specifiche esigenze come alla chiusura di esercizi e uffici che hanno sede nel condominio o a periodi di festività. Per tempi di conservazione superiori ai sette giorni è comunque necessario presentare una verifica preliminare al Garante.

Le telecamere devono riprendere solo le aree comuni da controllare (accessi, garage…), possibilmente evitando la ripresa di luoghi circostanti e di particolari che non risultino rilevanti (strade, edifici, esercizi commerciali ecc.). I dati raccolti (riprese, immagini) devono essere protetti con idonee e preventive misure di sicurezza che ne consentano l’accesso alle sole persone autorizzate (titolare, responsabile o incaricato del trattamento).

QUAL È IL QUORUM NECESSARIO PER L’INSTALLAZIONE DI UN SISTEMA DI VIDEOSORVEGLIANZA CONDOMINIALE?

La riforma del condominio ha finalmente sanato un vuoto normativo – più volte segnalato dal Garante della privacy a Parlamento e Governo – relativo al quorum richiesto per poter installare un sistema di  videosorveglianza condominiale.

La nuova legge prevede che l’assemblea possa deliberare l’installazione di un sistema di videosorveglianza sulle parti comuni solo con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore(i cosiddetti millesimi) dell’edificio.

 

Apposizione di un cancello sulla servitù di passaggio. E’ possibile ?

Apposizione di un cancello sulla servitù di passaggio. E’ possibile ?

La Corte di Cassazione ha ritenuto che rientri nel diritto del proprietario del fondo servente la facoltà, prevista dall’art. 841 c.c., di chiudere il fondo con un cancello per preservarlo, impedendo l’accesso ai non aventi diritto, anche se questo suo comportamento possa provocare disagi minimi e trascurabili al proprietario del fondo dominante.

Il cancello non dovrà impedire il pacifico esercizio della servitù di passaggio, consentendo al titolare l’ingresso in maniera comoda e non aggravata.

A graduare il disagio ed a stabilire in concreto le misure più idonee più idonee a contemperare i due diritti, dovrà essere il giudice di merito avendo riguardo al contenuto specifico della servitù, alle precedenti modalità d’esercizio e alla configurazione dei luoghi (v. Cass. nn. 15971/01, 9631/99, 1212/99, 5808/98, 2267/97 e 8536/95) (Cass. 23 settembre 2013 n. 21744).

Cass. civ., sez. II, 01/08/2014, n. 17550.
In tema di servitù di passaggio, rientra nel diritto del proprietario del fondo servente l’esercizio della facoltà di apportare modifiche allo stesso ed apporvi un cancello per impedire l’accesso ai non aventi diritto, pur se dall’esercizio di tale diritto possano derivare disagi minimi e trascurabili al proprietario del fondo dominante in relazione alle pregresse modalità di transito. Ne consegue che, ove non dimostrato in concreto dal proprietario del fondo dominante al quale venga consegnata la chiave di apertura del cancello l’aggravamento o l’ostacolo all’esercizio della servitù, questi può provvedere a rendere meno disagevole l’apertura del cancello (pure riconoscendo come corretta l’osservazione secondo cui la somma di due disagi trascurabili – dato nella specie dalla presenza di due cancelli – può dare luogo ad un disagio non più trascurabile) con l’apposizione del meccanismo di apertura automatico con telecomando a distanza, o di altro similare rimedio.

 

Esenzione IMU imbullonati: ecco le istruzioni per le imprese

Per l’abolizione IMU sugli imbullonati prevista dalla Legge di Stabilità bisogna comunicare la variazione catastale dell’immobile d’impresa con macchinari fissi al suolo entro il 15 giugno 2016.

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Ottenere l’eliminazione IMU sugli imbullonati comporta una serie di adempimenti per le imprese: entro il 15 giugno 2016 devono presentare gli atti di aggiornamento catastale in base alle nuove regole previste dalla Legge di Stabilità 2016. Le variazioni sugli immobili industriali con imbullonati comunicate entro questa data hanno effetto retroattivo al primo gennaio 2016, di conseguenza non non si pagherà l’imposta per l’intero anno. Vediamo cosa prevede la legge e che cosa devono fare le imprese.

=> Tutte le novità fiscali in Legge di Stabilità

Il comma 21 della Legge di Stabilità prevede che dal primo gennaio 2016 la determinazione della rendita catastale degli immobili a destinazione speciale e particolare, censibili nelle categorie catastali dei gruppi D ed E, venga effettuata:

«tramite stima diretta, tenendo conto del suolo e delle costruzioni, nonche’ degli elementi ad essi strutturalmente connessi che ne accrescono la qualità e l’utilità, nei limiti dell’ordinario apprezzamento. Sono esclusi dalla stessa stima diretta macchinari, congegni, attrezzature ed altri impianti, funzionali  allo  specifico processo produttivo».

In pratica, gli imbullonati (i macchinari fissi al suolo) vengono esclusi dalla superficie in base alla quale si determina la rendita catastale. Visto che l’imposta sugli immobili si calcola partendo dalla rendita catastale, di fatto non si pagherà più l’IMU sugli imbullonati. Bisogna però comunicare al Catasto le variazioni dell’immobile, che era stato censito con criteri precedenti e quindi comprendendo i macchinari fissi al suolo. Gli intestatari, quindi le imprese, a partire dallo scorso primo gennaio possono presentare gli atti di aggiornamento utilizzando la procedura Docfa, escludendo i macchinari per la riduzione della rendita catastale degli immobili

Il comma 23 prevede una deroga per questo 2016, primo anno di applicazione: le variazioni catastali comunicate entro il 15 giugno, hanno effetto retroattivo dal primo gennaio. Significa che per non pagare l’IMU imbullonati bisogna presentare la richiesta di variazione catastale dell’immobile entro il 15 giugno. Se il contribuente non presenta la comunicazione tramite procedura DOCFA entro il 15 giugno, ma in data successiva, nel 2016 pagherà l’IMU imbullonati, mentre la nuova rendita catastale sarà valida per l’IMU 2017.

Attenzione: la formulazione delle nuove regole sull’IMU per gli imbullonati esclude controversie su annualità precedenti il 2016, non ha quindi effetto su eventualicontenziosi pendenti. E’ specificamente previsto che l’eliminazione dell’imposta parta nel 2016 e sulla base di uno specifico adempimento, ossia l’autonoma presentazione da parte dei proprietari dell’atto di aggiornamento catastale.

Diritti di veduta? La legittimazione ad agire appartiene ai singoli condomini

Cassazione Civile, sez. II, sentenza 27/01/2016 n° 1549

La Corte di Cassazione ha statuito che il diritto di veduta appartenga esclusivamente al titolare di ogni singolo appartamento.

Con la sentenza 27 gennaio 2016, n. 1549, la seconda sezione della Corte di Cassazione si è espressa sul ricorso presentato da un condomino avverso la sentenza di secondo grado con la quale veniva condannato a rimuovere due pergolati e tre tettoie costruite nel proprio giardino. 

In primo grado, il condomino era evocato in giudizio dal condominio, il quale lamentava il mancato rispetto delle distanze legali nonché la lesione del diritto di veduta in ragione della costruzione dei surriferiti manufatti; l’attore sosteneva altresì la lesione del decoro architettonico nel palazzo e domandava la condanna del convenuto alla rimessione in pristino. Il tribunale di Chiavari rigettava la domanda della parte attrice; in sede di gravame, la Corte d’Appello di Genova condannava il condomino alla rimozione delle costruzioni oltre alle spese processuali.

Il condomino ricorreva dunque per Cassazione contestando, tra gli altri motivi, la legittimazione dell’amministratore a stare in giudizio.

La legittimazione sostanziale o legitimatio ad causam tradizionalmente coincide con la titolarità, attiva o passiva, del diritto; pertanto risulta legittimato ad agire solo colui che vanti un diritto che gli appartenga. In altri termini, per essere legittimati «si possono far valere solo diritti che si affermano come propri e la cui titolarità passiva si affermi in capo a colui contro il quale si proponga la domanda»[1]. Quanto alla legittimazione dell’amministratore, preme ricordare come, in ambito processuale, il condominio sia considerato un ente di gestione[2] e l’amministratore abbia la rappresentanza dei partecipanti nei limiti delle sue attribuzioni (art. 1131 c. 1 c.c.); per contro, quando l’amministratore è convenuto (art. 1131 c.2 e 3 c.c.) è legittimato senza limiti purché si tratti di controversie afferenti alle parti comuni.

Orbene, secondo i Supremi Giudici, l’amministratore ben poteva intraprendere le azioni necessarie per tutelare la proprietà condominiale in relazione alle parti comuni che si assumevano lese per la violazione delle norme sulle distanze legali. In tal caso, infatti, la Corte sottolinea come la previsione dell’art. 873 c.c. rappresenti il fondamento dell’interesse a tutela della proprietà condominiale a fronte della realizzazione di opere considerate lesive delle parti di proprietà comune. Per contro, i giudici accolgono il motivo di ricorso con cui si deduce il difetto di legittimazione ad agire per la tutela del diritto di veduta. Il citato diritto si sostanzia nella facoltà del proprietario all’inspectio ed alla prospectio, vale a dire alla possibilità di guardare e sporgersi sul fondo altrui, non solo frontalmente ma anche obliquamente e lateralmente. Il legislatore, onde evitare l’ “occlusione” della veduta, prevede il divieto di costruire ad una distanza minore di tre metri.[3].

Tornando al motivo di ricorso accolto dai giudici di Piazza Cavour, essi ribadiscono come non spetti all’amministratore ma ai singoli proprietari agire in giudizio per tutelare il diritto di veduta. Infatti, al di fuori dell’ipotesi residuale in cui tale diritto afferisca a parti condominiali (come la veduta dalla finestra delle scale del condominio), esso appartiene ai titolari delle singole unità abitative. Nel caso di specie, il condominio lamentava la lesione dei singoli diritti di veduta spettanti ai proprietari delle unità immobiliari e non già allo stabile nel suo complesso. La Suprema Corte afferma, dunque, che «la legittimazione ad agire per la specifica tutela dei diritti di veduta non può che appartenere ai singoli condomini».

Impianto condominiale centralizzato: quando è ammissibile il distacco?

Tribunale, Taranto, sez. II civile, sentenza 25/01/2016 n° 240, G.U. 07/03/2016

Il Tribunale di Taranto veniva chiamato a pronunciarsi in tema di distacco da parte di un condomino dal riscaldamento centralizzato.

In particolare nel caso affrontato, il condomino già  da tempo si era dotato di impianto autonomo e si era distaccato da quello centralizzato, continuando tuttavia  a pagare tutti i costi relativi all’utilizzo ed alla manutenzione dell’impianto di riscaldamento.

Dopo un diniego dell’assemblea condominiale sulla richiesta di modifica delle tabelle millesimali, relativamente alla ripartizione delle spese ordinarie dell’impianto di riscaldamento centralizzato, il condomino citava in giudizio il condominio, chiedendo di essere esentato dal pagamento delle spese per il  consumo del combustibile e gestione dell’impianto di riscaldamento centralizzato a partire dall’anno corrente.

Il Condominio si opponeva, atteso l’orientamento Suprema Corte, che pone comunque in capo al condomino distaccatosi l’obbligo di pagare le spese per la conservazione e la gestione dell’impianto di riscaldamento e comunque anche alla luce del fatto che l’unità immobiliare distaccata continuava a godere del calore grazie alle tubature condominiali di riscaldamento che, diramandosi nei singoli appartamenti, la circondano.

Il Tribunale di Taranto, sulla questione di merito, richiamava in prima battuta un orientamento ormai costante della Corte di Cassazione che sanciva la legittimità da parte di ciascun condomino di poter  distaccare le diramazioni della sua unità immobiliare dall’impianto termico comune, senza necessità di autorizzazione od approvazione degli altri condomini e la conseguente nullità della delibera condominiale che avesse respinto la richiesta di autorizzazione (sent. S.C. 3 aprile 2012, n. 5331).

Tuttavia la Corte considerava anche  che in tema di proprietà condominiale vigeva la regola per cui sulle cose comuni ex art. 1117 c.c. (l’impianto di riscaldamento centralizzato, nel caso in specie) il condomino non può, rinunziando al diritto sulle cose anzidette, sottrarsi al contributo nelle spese per la loro conservazione (art. 1118. c.c. nella sua formulazione originaria, prima cioè della sua riforma ad opera della Legge 11 dicembre 2012, n. 220, entrata in vigore dal 18 giugno 2013 e quindi in epoca successiva al fatto qui controverso).

In altre parole la Corte di merito adita ammetteva la possibilità del distacco del singolo condomino dal riscaldamento centralizzato, purché non si traducesse in svantaggi per altri condomini e pertanto lo subordinava  ad alcuni limiti.

In particolare, anzitutto la rinunzia non doveva comportare uno svantaggio (es. squilibrio termico) per gli altri condomini che continuavano ad usufruire del bene comune; in secondo luogo permaneva in capo al condomino l’obbligo di contribuzione per la conservazione della cosa comune, poiché diversamente gli altri condomini sarebbero costretti a pagare una quota di importo più elevato.

Alla luce di quanto sopra, le spese alla cui contribuzione era chiamato il condomino distaccatosi dall’impianto centralizzato, si dovevano intendere come quelle strettamente connesse al distacco e che senza di questo non avrebbero avuto origine; quindi poteva certamente essere esonerato dal pagamento del costo del combustibile per il sol fatto di non godere più del servizio,   rimaneva, però, onerato del pagamento delle spese di conservazione dell’impianto e di quelle relative ad opere di manutenzione ordinaria che straordinaria.

Il Tribunale inoltre aggiungeva, citando la sentenza 13 novembre 2014, n. 24209 della Corte di Cassazione: “Il diritto a chiedere, a determinate condizioni, il distacco dall’impianto di riscaldamento centralizzato, non può che valere per il futuro e non comporta la possibilità di chiedere restituzioni o danni, non potendo la rinunzia del singolo comportare un maggior aggravio per gli altri” e conciliando tale regola con il principio per cui la durata del processo non poteva ritorcersi in danno dell’attore, statuiva che la ripartizione delle spese, così  come sopra indicata avrebbe dovuto effettuarsi dal momento della proposizione della domanda.

Di conseguenza valutato che non sussistevano significativi squilibri termici, il Giudice adito dichiarava la legittimità del distacco, esonerava il condomino dal pagamento del combustibile acquistato successivamente alla data di proposizione della domanda, ma statuiva che questo continuasse a pagare le spese di manutenzione e conservazione dell’impianto.