Diritti di veduta? La legittimazione ad agire appartiene ai singoli condomini

Cassazione Civile, sez. II, sentenza 27/01/2016 n° 1549

La Corte di Cassazione ha statuito che il diritto di veduta appartenga esclusivamente al titolare di ogni singolo appartamento.

Con la sentenza 27 gennaio 2016, n. 1549, la seconda sezione della Corte di Cassazione si è espressa sul ricorso presentato da un condomino avverso la sentenza di secondo grado con la quale veniva condannato a rimuovere due pergolati e tre tettoie costruite nel proprio giardino. 

In primo grado, il condomino era evocato in giudizio dal condominio, il quale lamentava il mancato rispetto delle distanze legali nonché la lesione del diritto di veduta in ragione della costruzione dei surriferiti manufatti; l’attore sosteneva altresì la lesione del decoro architettonico nel palazzo e domandava la condanna del convenuto alla rimessione in pristino. Il tribunale di Chiavari rigettava la domanda della parte attrice; in sede di gravame, la Corte d’Appello di Genova condannava il condomino alla rimozione delle costruzioni oltre alle spese processuali.

Il condomino ricorreva dunque per Cassazione contestando, tra gli altri motivi, la legittimazione dell’amministratore a stare in giudizio.

La legittimazione sostanziale o legitimatio ad causam tradizionalmente coincide con la titolarità, attiva o passiva, del diritto; pertanto risulta legittimato ad agire solo colui che vanti un diritto che gli appartenga. In altri termini, per essere legittimati «si possono far valere solo diritti che si affermano come propri e la cui titolarità passiva si affermi in capo a colui contro il quale si proponga la domanda»[1]. Quanto alla legittimazione dell’amministratore, preme ricordare come, in ambito processuale, il condominio sia considerato un ente di gestione[2] e l’amministratore abbia la rappresentanza dei partecipanti nei limiti delle sue attribuzioni (art. 1131 c. 1 c.c.); per contro, quando l’amministratore è convenuto (art. 1131 c.2 e 3 c.c.) è legittimato senza limiti purché si tratti di controversie afferenti alle parti comuni.

Orbene, secondo i Supremi Giudici, l’amministratore ben poteva intraprendere le azioni necessarie per tutelare la proprietà condominiale in relazione alle parti comuni che si assumevano lese per la violazione delle norme sulle distanze legali. In tal caso, infatti, la Corte sottolinea come la previsione dell’art. 873 c.c. rappresenti il fondamento dell’interesse a tutela della proprietà condominiale a fronte della realizzazione di opere considerate lesive delle parti di proprietà comune. Per contro, i giudici accolgono il motivo di ricorso con cui si deduce il difetto di legittimazione ad agire per la tutela del diritto di veduta. Il citato diritto si sostanzia nella facoltà del proprietario all’inspectio ed alla prospectio, vale a dire alla possibilità di guardare e sporgersi sul fondo altrui, non solo frontalmente ma anche obliquamente e lateralmente. Il legislatore, onde evitare l’ “occlusione” della veduta, prevede il divieto di costruire ad una distanza minore di tre metri.[3].

Tornando al motivo di ricorso accolto dai giudici di Piazza Cavour, essi ribadiscono come non spetti all’amministratore ma ai singoli proprietari agire in giudizio per tutelare il diritto di veduta. Infatti, al di fuori dell’ipotesi residuale in cui tale diritto afferisca a parti condominiali (come la veduta dalla finestra delle scale del condominio), esso appartiene ai titolari delle singole unità abitative. Nel caso di specie, il condominio lamentava la lesione dei singoli diritti di veduta spettanti ai proprietari delle unità immobiliari e non già allo stabile nel suo complesso. La Suprema Corte afferma, dunque, che «la legittimazione ad agire per la specifica tutela dei diritti di veduta non può che appartenere ai singoli condomini».